La società moderna, con le sue mode e i suoi modelli, ci ha insegnato che bisogna abbandonare l’idea che vi sia un’unica definizione di bello e che quindi si possa conoscere attraverso dei canoni fissi che cosa sia il bello; anche il brutto ha un suo ruolo, quello di far sentire il dolore, di essere denuncia del mondo, di rappresentazione del diverso. Ricorda Brodel: “Il brutto è sempre stato considerato come l’ombra del bello, come il suo fratello gemello cattivo; quindi sostanzialmente, all’inizio della nostra civiltà, il brutto ha la caratteristica analoga a quella del falso o a quella del male morale, cioè se ne vuole negare l’esistenza positiva.
Nella filosofia greca, soprattutto da Platone a Plotino, che più hanno teorizzato questi concetti, il brutto si presenta appunto sotto la forma del non-essere. …. Questa è la forma più semplice di esprimere le cose. Quando poi invece, nella tradizione che parte da Plotino e arriva al Rinascimento italiano, si considera il brutto, esso è sempre legato all’idea di una minaccia, di qualche cosa che il bello riesce a domare, ma non completamente. Il brutto è lo spuntare, per così dire, del caos nell’ordine.”
Per far chiarezza occorre ricordare come il concetto di bello dipenda dalle varie culture e come in ognuna di esse, ma soprattutto nella nostra, il bello sia frutto di una serie di stratificazioni solo in virtù delle quali è possibile definirlo, utilizzando e collegando fra loro le varianti principali, le risposte che nel tempo sono state fornite.
Il termine bello deriva dal latino bellus, diminutivo dalla radice duenulus bonulus, qualcosa di buono in piccolo. Il concetto di bello è unito, quindi, nella nostra come in molte altre culture, a quello di buono. Anche in Grecia, ad esempio, nell’antichità il termine kalós – bello lo si trovava spesso connesso con il termine buono. Nel greco moderno kalós, addirittura, non vuol più dire bello ma buono.
Nel sapere occidentale sin dalla Scuola Pitagorica, nella Magna Grecia del VI-IV secolo a.C., il concetto di bello si specificava ed entrava in rapporto con il concetto di vero oltre che di buono, venendo a costituire una triade nella quale si trovano accumunati valori (il bello, il buono, il vero) che hanno come caratteristica la misura.
Con il passare dei secoli ci si accorge però che spesso la bellezza non coincide con l’ordine e con la regolarità, che vi è un qualcosa in più che non è né calcolabile né misurabile, un non so che, che contribuisce a stabilire che cos’è il bello, qualcosa che va ad aggiungersi alla normalità: non vi è più un criterio condivisibile a cui appellarsi.
Bisogna avere gusto per poter apprezzare il bello. Per quanto riguarda il brutto, esso è sempre stato considerato, ricordavamo poco sopra, l’ombra del bello, il falso, il male morale, che tuttavia esiste in natura.
Nella natura, tuttavia, da sempre si aveva coscienza che vi era anche l’informe, il deforme, il brutto ma necessario.
Foto di Michela Reginato