Convinti che ogni paesaggio comprenda qualcosa di sensibile – dai colori dei campi coltivati, alle forme e alle linee dell’architettura urbana- la conoscenza del paesaggio stesso diviene, per il semplice spettatore come per l’osservatore attento, una specie di detonatore di cariche emotive più alte, che può condurre alla bellezza sensibile e, provocando una sensazione estetica, permettere di appropriarsi della bellezza intelligibile. Nei paesaggi tuttavia, in forme e modi differenti e complessi il brutto e il bello, il male e il bene, l’utile e l’inutile convivono dando vita ad una realtà composita e complessa. Al centro dell’attività di ricerca di urbanisti, architetti, storici, economisti, sociologi, antropologi – e da sempre anche dei geografi – il paesaggio è ormai riconosciuto come bene primario collettivo e fondamento dei processi virtuosi di costruzione del bene comune.
Ricordando quanto afferma Castiglioni: “Il rapporto tra popolazione e paesaggio non si esaurisce … nel ruolo giocato dalle dinamiche pertinenti alla società nella costruzione dei paesaggi; la popolazione incide infatti sui paesaggi, ma possiamo affermare che contemporaneamente il paesaggio incide sulla popolazione suscitando emozioni e sentimenti, stimolando la definizione di significati e valori, andando cioè a costituire un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni stesse; il rapporto è quindi di reciprocità o, meglio, di circolarità. Se il guardare riveste un ruolo del tutto particolare quando si tratta di paesaggio, inteso come porzione di territorio percepita, Turri … nel saggio “Il paesaggio come teatro” ci ricorda che la dimensione dell’osservazione non va disgiunta da quella dell’azione” (Castiglioni, De Marchi, 2009, p. 78).
Turri ci ricorda infatti che: “La concezione del paesaggio come teatro sottintende che l’uomo e le società si comportano nei confronti del territorio in cui vivono in duplice modo: come attori che trasformano, in senso ecologico, l’ambiente di vita, imprimendovi il segno della propria azione, e come spettatori che sanno guardare e capire il senso del loro operare sul territorio” (Turri, 1998, p.
13). Il paesaggio diviene in questo senso l’interfaccia tra il fare e il vedere quello che si fa, i ruoli di attore (colui che costruisce) e di spettatore (colui che osserva) non si possono disgiungere in quanto si osserva ciò che si costruisce, ma, altrettanto, si costruisce sulla base di ciò che si osserva e di come lo si osserva.
Vi è ormai consapevolezza da parte di molti che le politiche paesistiche attuate secondo le direttive del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio e della Convenzione Europea del Paesaggio, oltre che delle leggi urbanistiche regionali, per essere efficaci richiedano la costruzione di un sapere diffuso. Per garantire la redazione di piani e programmi di trasformazione e tutela del territorio che siano anche condivisi dalle collettività locali, si deve sviluppare un’adeguata conoscenza del paesaggio come espressione materiale e culturale del territorio urbano e rurale, patrimonio paesistico dai forti connotati identitari.
Foto di Annagiulia Besombes